Osservando l’erba alta e la Biodiversità, quando la Natura fa il suo lavoro. Convivenza spontanea e flussi energetici fra diverse specie.

di Paola Pastacaldi

Che flora troviamo intorno alla quercia?

“E’ una flora che si trova normalmente qui, come in Europa o anche in altre parti del mondo di clima temperato. Il tutto si compone di elementi autoctoni quali Cirsium arvense, detto cardo dei campi, la Parietaria officinalis nonché vetriola maggiore, l’orzo dei topi Hordeum murinum. Vedo anche una robusta erba di manzoniana memoria come l'uva-turca o cremesina (Phytolacca americana), pianta che da noi ha una lunga storia, grazie alla scoperta dell'America. Come per gli amaranti, si trattava di un'introduzione motivata dall'impiego tintorio delle sue bacche ed è rappresentativa della componente alloctona, inserita nella lista nera della flora lombarda, quale invasiva da contenere ed eventualmente eradicare. Vedo l’Hypochaeris radicata, una sorta di insalatinella selvatica (famiglia Asteraceae), componente assidua della vegetazione erbacea di terreni più o meno costantemente disturbati. La componente esotica non eccede rispetto all'autoctona, c’è l'uva-turca, certo, ma la copertura erbacea è dominata da specie prative indigene, come il loietto comune (Lolium perenne), le pratoline (Bellis perennis), la verbena (Verbena officinalis), la lattuga selvatica (Lactuca sativa subsp. serriola), la fienaiola comune (Poa trivialis), il geranio dei prati (Geranium molle) e altro ancora.

“E’ un ecosistema temporaneo, che poi cambierà. Non è un raffazzonamento senza biodiversità di erbe piantate di proposito, come accade in aiuole o giardini, che non fanno ecosistema e non instaurano dinamiche di convivenza né fra loro né con il resto del mondo biologico in cui sono immerse, come erroneamente vantato da alcuni giardinieri e imprenditori del verde, ma si tratta di una diversità cultigena, semplice agrobiodiversità.

E in effetti la differenza è importante, la vera biodiversità presuppone patti di convivenza spontanea, non forzabili con la piantumazione, fra le diverse specie della comunità, atti a stabilire equilibri nella competizione per lo spazio e per i nutrienti, ma anche a promuovere flussi energetici fra le parti, che possono culminare nella simbiosi. Funghi come il prataiolo (Agaricus campestris) e le gambe secche (Marasmius oreades), per esempio, formano simbiosi radicali (micorrize) con diverse erbe del prato, collaborando alla sua salute; ma il principale ruolo ecosistemico dei funghi è la decomposizione del legno morto, che alla fine viene ultimata dai batteri. In questo reticolo di relazioni ipo ed epigee, il mondo animale svolge la sua parte, dalla fauna del suolo agli impollinatori, dai fitofagi ai predatori.

“Buchi ed escavazioni nel relitto della quercia di Montale hanno dato alloggio a nidi di bellissime vespe xilofaghe (Urocerus gigas), elemento in più nella biodiversità dei Giardini Montanelli. In definitiva, se confrontassimo il biotopo montanelliano con un adiacente tratto di prato alberato, gestito (e quotidianamente calpestato), di pari superficie, troveremmo una differenza di biodiversità abissale, sia nel numero delle specie sia nel contesto dei rapporti fra le stesse”.

 

Che ne pensa dell’abuso del termine Biodiversità?

“La parola biodiversità, inventata da Edward Osborne Wilson (biologo naturalista di Harvard), oggi riempie la bocca di tutti per i motivi più disparati, per lo più commerciali ma, a parte il lato commerciale che ha diritto di esistere, l’importante è che non si abusi di parole che appartengono ad altri campi.  Per l’erba alta qui nel recinto sarebbe utile creare un ecotono, un perimetro di transizione sfumato, che faccia da confine graduale tra l'ecosistema in crescita e la superficie erbosa esterna, impossibilitata a incrementare una biodiversità quasi inesistente; far crescere l’erba alta per circa un metro, fuori dal recinto, in modo che tamponi i rischi del salto tra l’erba della quercia e quella esterna, che viene regolarmente tagliata; se si riesce a creare l’ecotono, lasciare per esempio un metro e mezzo di ulteriore erba alta, sarebbe molto utile.

'Se si lascia crescere l’erba, è importante avere questa continuità in modo che il taglio non sia troppo drastico, anche per abituare sempre più la gente al principio di bellezza kantiano, in senso lato. Biodiversità significa lasciare che la natura faccia il suo lavoro, anche partendo da qualcosa, o passando attraverso qualche aspetto, che nella comune percezione può facilmente essere giudicato brutto. Nel recinto è cresciuta l'esotica uva-turca, ma anche la specie americana Acer negundo, quest'ultima potrebbe prendere il sopravvento e proseguire, molto più modestamente, la funzione topografica svolta prima dalla quercia”.

 

La quercia diventerà un bosco?

“Non diventerà certamente né un bosco né una boscaglia, ma un’area biodiversificata a modo suo. Al parco Lambro c’era una piccola boscaglia, unico appezzamento di biodiversità spontanea potenzialmente incrementabile, che è stata assurdamente eliminata. Dipende dall’obiettivo: se l’area è sufficientemente grande e in condizioni sufficientemente accettabili per proporne un recupero di biodiversità, allora ben venga su la boscaglia. Acero e uva-turca dovrebbero essere eradicati in quanto rischiosi per il condizionamento che il loro sviluppo potrebbe imporre al sito, con perdita di biodiversità”.

 

A che punto è la degradazione della quercia?

“La quercia è a uno stato di degrado ancora leggero. Il legno adulto si difende molto bene grazie alla lignina di cui è fatto. Il legno ha ancora un sacco di anni per degradarsi. E’ ancora lungo. Piano, piano se ne va. Più la tiene lunga e meglio è per dare spazio a questa vita variegata. Una volta che tutto si appiattisce, si riduce anche il numero di nidi e di insetti. La quercia crea un ambiente con una infinità di microhabitat. Ai cani non pare vero di vedere la vita che non vedono mai. Qui è nata molta vita e loro la sentono”.

 

Col maltempo le erbe che faranno?

“Alcune sono annuali, fanno il ciclo anche d’estate, poi hanno una fase più arida secca. Non è necessario intervenire, se tutto diventa secco. Lascerei fare il loro ciclo con la biomassa”.

 

E i forasacchi?

“In fase di fioritura e prima ancora in fase di sviluppo non colpiscono gli occhi o i cani di nessuno. Da non confondere i forasacchi (Anisantha sterilis, A. diandra, A. madritensis), con il già ricordato orzo dei topi. La degradazione resiste.”

 

“Promette tempi lunghi”, conclude il professore, sorridendo. Intanto, intorno alla quercia è un via vai di passanti e di cani. Sembra che la vita biologica del prato, che di fatto non viene colta con la dovuta attenzione (ma che sarebbe davvero interessante coltivare), venga percepita ugualmente per una forma di curiosità istintiva - potremmo dire una attrazione che è la stessa che fa sedere le persone vicino alle piante - e porti molta vita intorno al recinto, che al suo interno accoglie il vecchio tronco in decomposizione e non solo, come ha ben spiegato il professor Banfi. 

 



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