Antiche radici e vetusti tronchi d’albero, ultimo messaggio di van Gogh, ancora viventi, oggi patrimonio culturale e meta di pellegrinaggi per gli appassionati di arte
di Monica Bracaloni, giornalista, storica dell'arte
'Radici e tronchi d’albero'. Hanno più di 130 anni e sono state l'ultima immagine dipinta da van Gogh.
di Monica Bracaloni, giornalista, storica dell'arte
Avvoltolate, attorcigliate, attorte, avviticchiate tra loro. Amare, vecchie e pietose compagne fedeli di vetusti tronchi e di rugose cortecce. Sono le ultime radici d'albero di Vincent van Gogh. L'ultimo squarcio di natura visto e vissuto dall’incompreso di Zundert, l’artista che più di ogni altro ha dato spirito alle ombre e temperamento al colore.
Si trovano ancora lì, ad Auvers-sur-Oise, 30 chilometri circa a nord di Parigi, lungo un sentiero in Rue Daubigny che porta direttamente ad Auberge Ravoux, la locanda dove l'artista passò gli ultimi settanta giorni della sua vita. Sono state scoperte nel 2020 durante il lockdown dallo studioso Wouter van der Veen, direttore scientifico dell'Institut van Gogh di Auvers-sur-Oise, che le ha riconosciute guardando una vecchia cartolina del primo Novecento relativa alla piccola cittadina francese.
Oggi, sono diventate intoccabile patrimonio culturale vivente, sono protette, e sito di pellegrinaggio per gli appassionati di arte e non solo (www.vangogheurope.eu). Immortalate nel 1890 queste radici 'sorgenti e risorgenti' di un albero secolare sono in effetti ancora riconoscibili e sono sempre rimaste lì, dalla fine dell'800 e chissà da quanto tempo prima. Ancora abbarbicate alla terra, alla vita.
La storia esistenziale e creativa di van Gogh è stata un incessante e continuo corteggiamento doloroso e amoroso, allo stesso tempo, verso la natura e soprattutto verso gli alberi. In una delle sue riflessioni scrisse parole bellissime in riferimento al loro valore: “Vedo ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità d’espressione e, per così dire, un’anima”.
Erano per lui consolazione, conforto, incoraggiamento, sollievo, sostegno; e ne dipinse tantissimi; cipressi, querce, platani, ulivi, gelsi, tassi, mandorli. Tutti vigorosi, penetranti, densi e ricchi di poesia e sentimento. Ma in questi ultimi ceppi che mettono in risalto le loro radici contorte, cogliamo un'intimità più sommessa, uno spirito più profondo. Sono il soggetto della sua 'opera testamento, il suo ultimo messaggio', così come afferma lo stesso van der Veen; elementi che a suo avviso incarnano la lotta tra la vita e la morte, il suo grido al mondo prima di togliersi la vita. La mattina del 27 luglio 1890, Vincent van Gogh dopo aver lavorato a “Radici e tronchi d’albero” pose fine alle sue sofferenze con un colpo di pistola. C’era finalmente riuscito, dopo infiniti altri tentativi di suicidio. Non aveva ancora compiuto 37 anni e non seppe mai quanto le sua 'luce' avesse contribuito ad una nuova visione artistica delle emozioni. Il valore rilevante di queste radici così nubilose e malinconiche, non si ascrive solo al tocco convulso, viscerale e sconvolgente della mano e del pensiero di van Gogh, ma anche alla loro reale e profonda esegesi di sopravvivenza. Incolumi e superstiti da oltre 130 anni. Miracolo della natura, le ritroviamo ancora viventi, profonde e tenaci, dignitose se pur stanche per lo scorrere dei secoli e affascinanti nella loro estetica primitiva e nella loro vetusta longevità. Perpetue, eterne e profonde, queste radici si sono prese cura di loro stesse, hanno resistito al tempo, si sono difese. Un esempio straordinario e indelebile di resilienza senza fine, quella che mancò al loro ritrattista. La presenza ancora vigorosa di questo senescente 'abbraccio legnoso' su quel sentiero sembra essere l'accordo perfetto all'essenza salvifica dello spirito che van Gogh anelava: “Non vivo per me, ma per la generazione che verrà”.
'Radici e tronchi d’albero'. Hanno più di 130 anni e sono state l'ultima immagine dipinta da van Gogh.
di Monica Bracaloni, giornalista, storica dell'arte
Avvoltolate, attorcigliate, attorte, avviticchiate tra loro. Amare, vecchie e pietose compagne fedeli di vetusti tronchi e di rugose cortecce. Sono le ultime radici d'albero di Vincent van Gogh. L'ultimo squarcio di natura visto e vissuto dall’incompreso di Zundert, l’artista che più di ogni altro ha dato spirito alle ombre e temperamento al colore.
Si trovano ancora lì, ad Auvers-sur-Oise, 30 chilometri circa a nord di Parigi, lungo un sentiero in Rue Daubigny che porta direttamente ad Auberge Ravoux, la locanda dove l'artista passò gli ultimi settanta giorni della sua vita. Sono state scoperte nel 2020 durante il lockdown dallo studioso Wouter van der Veen, direttore scientifico dell'Institut van Gogh di Auvers-sur-Oise, che le ha riconosciute guardando una vecchia cartolina del primo Novecento relativa alla piccola cittadina francese.
Oggi, sono diventate intoccabile patrimonio culturale vivente, sono protette, e sito di pellegrinaggio per gli appassionati di arte e non solo (www.vangogheurope.eu). Immortalate nel 1890 queste radici 'sorgenti e risorgenti' di un albero secolare sono in effetti ancora riconoscibili e sono sempre rimaste lì, dalla fine dell'800 e chissà da quanto tempo prima. Ancora abbarbicate alla terra, alla vita.
La storia esistenziale e creativa di van Gogh è stata un incessante e continuo corteggiamento doloroso e amoroso, allo stesso tempo, verso la natura e soprattutto verso gli alberi. In una delle sue riflessioni scrisse parole bellissime in riferimento al loro valore: “Vedo ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità d’espressione e, per così dire, un’anima”.
Erano per lui consolazione, conforto, incoraggiamento, sollievo, sostegno; e ne dipinse tantissimi; cipressi, querce, platani, ulivi, gelsi, tassi, mandorli. Tutti vigorosi, penetranti, densi e ricchi di poesia e sentimento. Ma in questi ultimi ceppi che mettono in risalto le loro radici contorte, cogliamo un'intimità più sommessa, uno spirito più profondo. Sono il soggetto della sua 'opera testamento, il suo ultimo messaggio', così come afferma lo stesso van der Veen; elementi che a suo avviso incarnano la lotta tra la vita e la morte, il suo grido al mondo prima di togliersi la vita. La mattina del 27 luglio 1890, Vincent van Gogh dopo aver lavorato a “Radici e tronchi d’albero” pose fine alle sue sofferenze con un colpo di pistola. C’era finalmente riuscito, dopo infiniti altri tentativi di suicidio. Non aveva ancora compiuto 37 anni e non seppe mai quanto le sua 'luce' avesse contribuito ad una nuova visione artistica delle emozioni. Il valore rilevante di queste radici così nubilose e malinconiche, non si ascrive solo al tocco convulso, viscerale e sconvolgente della mano e del pensiero di van Gogh, ma anche alla loro reale e profonda esegesi di sopravvivenza. Incolumi e superstiti da oltre 130 anni. Miracolo della natura, le ritroviamo ancora viventi, profonde e tenaci, dignitose se pur stanche per lo scorrere dei secoli e affascinanti nella loro estetica primitiva e nella loro vetusta longevità. Perpetue, eterne e profonde, queste radici si sono prese cura di loro stesse, hanno resistito al tempo, si sono difese. Un esempio straordinario e indelebile di resilienza senza fine, quella che mancò al loro ritrattista. La presenza ancora vigorosa di questo senescente 'abbraccio legnoso' su quel sentiero sembra essere l'accordo perfetto all'essenza salvifica dello spirito che van Gogh anelava: “Non vivo per me, ma per la generazione che verrà”.