Il futuro del continente è in mano alle donne africane
Alessandro Graziadei (Unimondo, 12 febbraio 2011)
Tra le risposte del Forum a questi principi di responsabilità la più concreta sembra essere stata per l’Africa quella di genere: “il futuro del continente è in mano alle donne africane” (alle quali non per caso la campagna Noppaw ha proposto il Nobel per la pace 2011), che oltre al ruolo tradizionale di madri stanno diventando sempre di più capo famiglia. “Con la crisi la madre di famiglia continua a stare dietro ai fornelli, ma si è anche messa a fare dei lavoretti, a vendere prodotti e fare bricolage. Grazie alla sua attività la donna riesce a dare da mangiare a figli e marito: questa è la grande novità” ha spiegato la senegalese Fatou Guèye Ndiaye, attivista della Rete africana delle donne lavoratrici (Rafet). Dello stesso avviso è stata anche Diama M’Bodj che rappresenta l’associazione Donne e Pesca di Mauritania (veicolato in Italia da Slow Food .pdf ): “La nostra associazione che raggruppa tutte le donne che puliscono e trasformano i prodotti ittici contava soltanto 35 membri nel 1995 mentre ora siamo più di mille soci, soprattutto donne capo-famiglia che vogliono organizzarsi insieme”. “L’unione fa la forza – aggiunge Fatou Bintou Diane dell’Unione delle donne della Patte d’oie’ (letteralmente “zampa dell’oca”), dal nome di un quartiere di Dakar dove le donne vendono prodotti trasformati artigianalmente lavorando materie prime come frutta e verdura – così ci aiutiamo a vicenda per portare avanti attività pesanti anche dal punto di vista fisico. [...] Unite le donne riescono ad aver maggior peso economico e finanziario, necessario per avere accesso al microcredito, per investire e far sentire la loro voce”. Così a Dakar, il giorno dopo, si respira l’aria giusta, senza enfasi, ma determinata: l’altro mondo possibile è ancora in cammino: è responsabile ed è donna.