CERCANSI TUTOR PER CRONISTI AFRICANI La storia del sito AfricaTimesNews dove le notizie sono scelte e scritte da africani

di Paola Pastacaldi

Sì, avete letto bene! E' nato un sito dove i giornalisti sono africani e decidono autonomamente quale informazione dare del loro paese. E la storia è piuttosto articolata. Ve la raccontiamo. Tutto è cominciato per le strane alchimie che si verificano nelle redazioni dei giornali (occidentali), in mezzo alla fretta ma anche a quella forma di specializzazione che, nella rotazione feroce del mondo delle news, i giornalisti cercano di conservare, per timore di perdersi nel generalismo. Da cui consegue che per evitare conflitti tra colleghi si cerchi disperatamente un soggetto sguarnito di specialista, quindi di concorrenza. Beh, non ci crederete, ma l’Africa è uno di questi soggetti. I media si occupano di tutto, rovistano dappertutto. Ma l’Africa, eccetto in caso di stragi come quelle del Ruanda o di guerre dove la gente muore come le formiche o di rivoluzioni come quella della Libia, i temi africani non sono considerati. Una miriade di news rimane fuori dalla porta principale dell’informazione. Nessuno se ne occupa. A questo ha pensato Riccardo Barlaam, giornalista del Sole 24 ore (il giornale che in rete ha una sezione Medio Oriente e Africa), quando nel 2004 creò un blog sull’Africa. Riccardo Barlaam, laureato in Scienze Politiche a Teramo, è oggi caposervizio del sito del giornale. Ha fatto la scuola di giornalismo alla Luiss, e poi il giro d’Italia dei giornali (Libertà di piacenza, La Notte, Il Tempo, L’indpendente) prima di approdare al Sole (ho lavorato con Vittorio Corona al primo Ventiquattro). Il blog ebbe successo e Riccardo decise, viste le premesse, di osare di più e aprire una vera finestra sulle news dell’Africa. “Vedevo che molte delle notizie mandate dalle agenzie di tutto il mondo non venivano pubblicate e ho cominciato a metterle nel blog. Un esempio di questa completa trascuratezza? Oggi in Sudan sono morte 80 persone, il New York Times ha fatto solo un trafiletto di poche righe, ma in Italia non c’è nessuna traccia di questi morti, nemmeno una breve”. Servono più morti e più sangue perchè l’Africa si meriti uno spazio nei media occidentali? Probabilmente. Ma c’è dell’altro. Ormai i grandi gruppi editoriali non hanno più corrispondenti. Il mondo dell’informazione conserva un certo interesse per le news dall’Africa solo nei paesi ex coloniali. Citiamo la Bbc, la Reuter, ma anche Jeune Afrique (tutta l’attualità africana in rete) a Parigi, in Italia l’agenzia Misna, Nigrizia, ancora in rete allAfrica global Media. E, infine, la Cina che sta avanzando, non solo con la sua presenza consistente per gli investimenti africani e i cinesi trasferiti in massa nelle città e nei villaggi d’Africa, ma anche nell’informazione, con la sua super agenzia di Stato, la Xiinua News. “Quando Bush fece il suo ultimo viaggio in Africa nel 2008 e fu un fallimento, perchè gli africani dissero no all’America che voleva aprire una base Nato, io scrissi un articolo per Nigrizia intitolato “Bye, bye Africa” . Presi per quell’articolo il premio Baldoni per il giornalismo, perché – mi dissero - ci occupavamo di Africa in un grande quotidiano. Il premio di quindicimila euro secondo regolamento andava speso per un viaggio nel Sud del mondo. Dato che come giornalista potevo e posso andare in giro a fare reportage dove voglio e spesato, decisi su suggerimento di Martin Nkafu Nkemnkia, insegnante alla pontificia università lateranense, originario di un villaggio del Camerun anglofono, dove c’è un college inglese, di fare una scuola di giornalismo. Il villaggio si chiama Fontem ed è gemellato con le scuole del Lazio e della Toscana, grazie ad Amu, una Ong cattolica. A Fontem l’Esa, l’Ente spaziale europeo, ha aperto un collegamento Wifi ed è stato possibile portare Internet. Il corso è durato due settimane, ogni mattina alle sette arrivavano trenta ragazzi, molti già laureati nei college a Duala, quasi tutti bilingue. Tra di loro c’erano un pastore battista, che non aveva mai visto le mail, un insegnante universitario d’inglese. Giorno dopo giorno nel blog facevamo il rapporto. E’ nata allora l’idea di un sito cui abbiamo dato il nome AfricaTimesNews, the African Network Information Center, in lingua inglese e francese. L’idea era ed è quella fare un network di giornalisti locali e di coprire tutta quando potremo tutta l’Africa. Ancora siamo lontani, abbiamo ancora bisogno di corrispondenti dalle grandi aeree per ora sguarnite”. Ma tutti lavorano gratis? Uno stipendio medio in Africa oscilla dai 50 ai 200 euro nei paesi più sviluppati e molto meno in altri, come l’Eritrea e la Costa d’Avorio. “Partimmo con un piccolo stipendio di cinquanta euro ad Armand Djoauleu, trentacinquenne disoccupato con due lauree, che oggi è il curatore del sito”. Problemi logistici, chissà quanti! “Quando manca la luce, mi manda un sms dicendomi “aggiornalo tu” e io di notte, finito il mio lavoro al giornale, provvedo”. Al team si aggiungono un corrispondente in Costa d’Avorio, uno in Burkina Faso, uno in Kenya, uno in Togo. “Il sito oggi – spiega Barlaam - ha tremila utenti al giorno e circa ottantamila pagine vite al mese”. Perché leggere AfricaTimeNews? E’ l’unico sito in Europa (forse nel mondo?) dove tutti i giorni è possibile leggere le notizie sull’Africa viste, sottolineiamo questa parola, dagli africani, dunque notizie che non si trovano nei nostri giornali. Ma quel che più conta è che vengono scritte e scelte dagli stessi africani e accompagnate da loro lettere e commenti. Uno spaccato sull’Africa autentico. Ma i soldi per fare tutto questo lavoro da dove sono arrivati? In prima battuta sono stati quelli del premio Baldoni da Barlaam - diciamo per usare un termine tecnico - “investiti” nel sito. Laddove il ritorno non è certo economico, ma umano e forse anche ideale, dare un senso al proprio lavoro, legato al pensiero che il giornalismo, alla fine della fiera, ha a che fare con l’umanità e le sue disperazioni e ingiustizie. Una idea che, come direbbero gli americani con il motto “uno fa la differenza”, ha provocato la reazione positiva dell’imitazione negli altri. Oggi i soldi arrivano da un microcosmo sensibilizzato dal tema e dal modo che è stato usato per svilupparlo: oltre ai colleghi giornalisti, un pubblico variegato che va da un gruppo di podisti al Comune di Cassinetta di Lugagnano e via dicendo. Riccardo Barlaam, responsabile del sito, continua il suo finanziamento coerente con la sua idea. “Il compenso che ricevo da Nigrizia per gli articoli, cinquanta euro, li devolvo al sito. Da una settimana abbiamo una nuova grafica. Con cinquanta euro ho preso un format americano che fa sembrare il sito un vero portale editoriale, con le notizie e le cartine dall’Africa che si aprono in ordine cronologico e legato ai vari paesi. Con cinquemila euro si potrebbe pagare lo stipendio ad una cinquantina di persone. Inutile dirlo, servono soldi. Stiamo cercando di creare una onlus, in modo da poter chiedere soldi a fondo perduto cosa che oggi non possiamo fare”. L’Africa pur povera è il nostro futuro? Forse. Guardando gli investimenti dei cinesi sembrerebbe proprio di sì. Perché non cominciare dall’informazione, la struttura nervosa della società, a far circolare nuove informazioni, linfa di ogni cambiamento. E così Riccardo Barlaam suggerisce che “se qualcuno vuole farsi avanti per il marketing, il found rising, il giornalismo e fare da tutor a questi ragazzi, è il benvenuto”. Ma niente business, prego, è l’ Africa, la terra da cui veniamo. Non dimentichiamo Dinkenesh, che in amarico significa tu sei bellissima, lo scheletro di Lucy, prima donna rinvenuta in Etiopia, oggi conservata in America, che si meritò la canzone dei Beatles, Lucy in the Sky.



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