Le immagini di Gheddafi e la pietas occidentale. La morale della Libia arcaica fatta di cabile e tribù. L‘Africa resta il paese delle Erinni,
di Paola Pastacaldi, giornalista e scrittrice (www.francoabruzzo.it e africa.blog.ilsole24ore.com)
Alcuni giornali e radio hanno commentato la fine di Gheddafi parlando, ai margini, di immagini disumane, di corpo oltraggiato, di barbarie della vendetta. In breve, alludevano alla pietas. Ma questa è la nostra pietas, non è affatto quella dei popoli africani! Trovo questa visione dei fatti falsamente moralistica. O, meglio, trovo questi commenti velati di una mentalità che conserva ancora caratteri retrivi di colonialismo culturale. Capisco di contraddire l’opinione di molti analisti dei media. Ma mi sembra che applichiamo pedissequamente la nostra cultura, la nostra morale alla cultura del popolo africano che invece si rapporta, ancora oggi, con una mentalità arcaica. Sono certa che, al di là dei ragionamenti razionali, l’immaginario collettivo sia della gente comune che degli opinionisti, cioè di coloro che hanno seguito minuto per minuto le fasi della caduta del leader, ha sempre in qualche modo saputo, pensato, temuto e, persino, immaginato una morte feroce, forse ancora peggiore di quella che è stata. Una morte arcaica e primitiva. Perché, come scriveva Pasolini nel suo “Appunti per una Orestiade africana”, l’Africa è il paese delle Erinni, della vendetta. E questo pensiero non è solo letteratura, ma una profonda realtà sociale. E la Libia? La Libia è un paese ancora fatto di cabile e tribù. Sappiamo veramente che cosa significa, al di là delle analisi politiche e degli interessi (vedi petrolio), vivere dentro un tribù? Credo proprio di no. La verità è che l’Africa è anche il paese delle zemecià, delle razzie, delle tribù, dove un giovane per essere uomo deve uccidere un altro uomo. Durante il colonialismo alcuni, pochi, studiosi se ne sono anche occupati, come Enzo Cerulli o il governatore Ferdinando Martini. Da allora molto è mutato anche in Africa, ma con la povertà usi e costumi arcaici sono rimasti e pochi occidentali si prendono la briga di studiare l’Africa come è. Ci rapportiamo sempre agli africani solo per questioni politiche o di interesse, vedi petrolio, o di emergenza (vedi i boat people). Nel nostro arrovellarci e accanirci ad analizzare i fatti libici, giustamente partendo dalla storia, scordiamo che l’Africa non è l’Europa. Coloro che hanno letto e studiato non solo la storia, ma anche il costume dei paesi d’Africa, dei paesi ex coloniali, il lato selvaggio, arcaico, che noi europei sentiamo medioevale (usando un termine non so quanto consono all’Africa), sanno che non possiamo cancellarlo. I rapporti di vita in Africa obbediscono a leggi elementari di sopravvivenza. Quanto vale la vita in Africa? Poco, pochissimo, e non tanto perché gli africani sono selvaggi, ma perché danno altro valore alle cose, perché hanno altri principi e problemi di vita. Li conosciamo? Ammettiamo la nostra ignoranza. Il giovane ribelle libico che ha combattuto per la sua libertà contro il dittatore e che si è trovato improvvisamente di fronte al grande nemico, in carne ed ossa, ma inerme, non poteva che ucciderlo, perché questo rispondeva alla sua cultura arcaica. I media occidentali hanno fatto bene a farci vedere le foto del corpo del dittatore, perché ci hanno permesso di vedere quale è una parte fondamentale e profonda della realtà storica di quel paese. Lo aveva spiegato molto bene nel suo ultimo libro sulla fotografia Susan Sontag poco prima di morire, dove si diceva favorevole alla pubblicazione delle foto di guerra. L’Africa è anche questo, un colpo alla testa immediato per eliminare il nemico, senza tanti problemi di giustizia e processi democratici. I nostri giudizi morali, per quanto corretti, appartengono ad un moralismo di ritorno. Inutile applicare la nostra morale al giovane diciottenne che ha ucciso Gheddafi. L’africano, anche se ha studiato ad Oxford, vedi la dittatura messa in atto in Eritrea da Isaia Afework, spesso ritorna inesorabilmente a gestire la vita con somma violenza, non per caso, ma perché la vita in Africa vale molto molto meno che da noi. COMMENTI Condivido pienamente questi concetti molto profondi che raccontano con semplicità, indice di una provata cultura, la storia dei continenti che sono vicini all' Europa geograficamente ma ancora tanto lontani... culturalmente ...Congratulazioni per questo scritto grazie per avermi illuminato su concetti importanti per la vita futura Gent.ma Paola Pastacaldi Condivido pienamente questi concetti molto profondi che raccontano con semplicità, indice di cultura radicata in anni di studi, la storia dei continenti che sono vicini all' Europa geograficamente... ma . culturalmente ...ancora tanto lontani..grazie a dittature e religioni..Congratulazioni per questo scritto grazie per avermi illuminato su concetti importanti per la vita futura. Antonio Bovetti (Girnalista pubblicista coll. il Giornale e altri media) Antonio Bovetti Letto articolo su Gaddafi. Perfetto. Peccato che nessuno lo leggerà e men che meno capirà. Saluti Paolo Pavan Gentile Paola Ho scritto a Franco Abruzzo prendendo spunto dall’articolo su Gheddafi apparso su Francoabruzzo.it, e dopo aver trovato questo indirizzo di posta elettronica, mi pare serio girare la mail per conoscenza. Premesso che mi trovo d’accordo con l’analisi dell’articolo, ho posto l’accento sulla questione riguardante la pubblicazione di immagini raccapriccianti, perché a mio avviso anche in questo caso, come in altri in precedenza, si è oltrepassato questo limite. Qui di seguito la breve mail che ho spedito a Franco Abruzzo Distinti saluti Domiziano Lisignoli Fotogiornalista Caro Franco, ti scrivo prendendo spunto dall’articolo di Paola Pastacaldi su Gheddafi. Mi piacerebbe un tuo parere su un punto a mio avviso nodale, ovvero la pubblicazione di immagini raccapriccianti. Sempre più ci si sta spostando verso la pubblicazione di questo genere di immagini, ed il termine “raccapricciante” è molto elastico. Quanto dice Paola Pastacaldi è tutto vero, la Libia è diversa da noi , ma i giornali pubblicati qui non devono seguire regole “libiche” nella scelta delle immagini da pubblicare… Da fotografo cerco di raccontare senza mostrare, se mi trovo su un incidente stradale con un morto, non ho bisogno di fotografare il cadavere pieno di sangue per far capire la gravità della situazione. Domiziano Lisignoli Fotogiornalista Gheddafi era un dittatore. Ma davanti alla morte si resta in silenzio. Sarebbe stato meglio se fosse stato preso vivo e processato dalla Corte penale internazionale che nei mesi scorsi aveva emesso un mandato di arresto contro di lui per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. E' andata diversamente. La gente a Tripoli festeggia per strada. Noi ci scandalizziamo per la crudeltà. Paola Pastacaldi, giornalista studiosa di cose africane e mezza africana anch'essa sul suo sito ha scritto una tesi provocatoria sull'argomento che vi invito a leggere... Riccardo Barlaam, www.africa.blog.ilsole24ore.com
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