Etiopia: giornalisti e oppositori dietro le sbarre

ilcorriere della sera.it, 25 settembre

Zemene Molla aveva chiesto l’autorizzazione per svolgere una manifestazione. Eskinder Nega aveva scritto un articolo auspicando che il nuovo anno, appena iniziato, potesse essere quello in cui la libertà d’espressione e di associazione sarebbe stata finalmente rispettata. Sileshi Hagos curava una rubrica su Radio 96.3. Nel suo messaggio di Capodanno, l’11 settembre, il partito di cui fanno parte Nathanial Mekonnen e Asaminew Berhanu aveva invocato “una lotta pacifica per dare la libertà al popolo”. Il 15 settembre questi sei uomini sono comparsi di fronte a un giudice di Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia, per rispondere dell’accusa di appartenenza a un partito fuorilegge, il “Ginbot 7”: udienza breve, processo rimandato di un mese e ritorno in cella, negli uffici centrali della polizia investigativa di Maikelawi, a rischio di tortura e senza poter vedere familiari e avvocati. Dal mese di marzo, il governo dell’Etiopia ha lanciato un nuovo giro di vite nei confronti del dissenso: sono finiti in carcere almeno 100 esponenti politici di partiti e movimenti di opposizione, oltre a sei giornalisti e a un noto attore, Debebe Eshetu. Sono accusati di violazione della legge antiterrorismo, in vigore dal 2009. Come in altri paesi, la formulazione delle norme è così vaga da rendere un crimine la semplice espressione, a voce o per iscritto, delle proprie idee. Così pare essere anche per le persone colpite dall’ultima ondata repressiva. Amnesty International ritiene che la loro unica colpa sia di aver criticato il governo e che molti degli esponenti politici siano presi di mira in quanto fanno parte dell’etnia Oromo. Le autorità di Addis Abeba tendono a collegare qualsiasi espressione politica di questa etnia alle azioni di un gruppo armato, il Fronte di liberazione Oromo. Per chi non è Oromo, la sostanza non cambia: li si etichetta come militanti del “Ginbot 7” o di altre cospirazioni terroriste. (fonte: Corriere della Sera.it)