Transafricana
Una definizione che nasce per presentare, con le loro singole peculiarità, sei notissimi Autori africani e che prende spunto dal desiderio di offrire un’arte “di attraversamento” che mette in comunicazione popolazioni tra loro eterogenee come, a partire dal 1897, Cecil Rhodes iniziò a fare finanziando la storica linea ferroviaria che taglia longitudinalmente l’Africa. Un progetto ambizioso il quale, però, a differenza di quello del filantropo inglese che divenne un'”incompiuta”, si sta espandendo oltre qualsivoglia confine geografico e culturale. E questo perchè, se è pur vero che gli artisti africani che hanno accesso alle grandi mostre ed alle gallerie occidentali sono comunque ancora pochi e quelli che ne hanno la possibilità sono spesso residenti fuori dal continente, Bush, Camara, Lilanga, Mahlangu, Mbuno e Wanjau sono riusciti ad imporsi sia nella propria Terra sia oltre i fini della stessa comunicando attraverso i propri lavori che il loro continente non è nuovo, vuoto e ancora da scoprire; non è immobile e legato soltanto alle sue tradizioni ancestrali, e non è né isolato, né esclusivamente povero. Quasi tutti i critici d’arte contemporanea hanno affrontato questa questione ed hanno ribadito la necessità di non vedere l’Africa come la periferia del mondo, attraverso visioni eurocentriche o etnocentriche. L’arte africana deve essere trattata con una sua terminologia adeguata (esattamente come Achille Bonito Oliva sta prospettando portando ovunque nel Mondo l'ensemble di questi sei autori), ed una voce autorevole in merito può essere certo considerata quella di Katy Deepwell che sottolinea come “...il contesto all’interno del quale percepiamo l’arte contemporanea africana è determinato da fraintendimenti, disinformazione e punti di vista dogmatici, creati dal dibattito su modernismo e primitivismo, dal peso dell’antropologia e dal concetto di “altro etnico” che caratterizza chi non è occidentale”. Più sottile John Picton il quale evidenzia che “...se siamo abituati a concepire l’Europa come il centro e a consegnare l’Africa alla periferia, forse dovremmo domandarci il centro di che cosa, la periferia di che cosa, chi colloca chi e di chi è il gioco”. E' comunque certo che, per i più, l’evoluzione dell’arte africana non è allineata all’evoluzione dell’arte in Europa e concetti,correnti,stili e linguaggi non si sono sviluppati sul continente nello stesso modo e per le stesse ragioni che in Occidente. Ma se è luogo comune pensare che la ricchezza delle fonti degli artisti africani, e la conoscenza della ricchezza artistica africana fuori dal continente, siano profondamente legate anche alla situazione delle comunicazioni locali basta porre grande attenzione al gruppo rappresentato da Bush, Camara, Lilanga, Mahlangu, Mbuno e Wanjau. Emerge evidente quanto l' Occidente abbia ancora molto da imparare dalle loro espressioni e quanto le poche migliaia di Km ferroviari iniziate dalla Transafricana di Rhodes, e successivamente da quella del lungimirante Achille Bonito Oliva, abbiano permesso ad artisti certamente legati alla loro terra d'origine, la quale darwinianamente e storicamente pensando è stata la prima “culla” delle speci del Globo, di raccontare nuove emozioni ed imporsi ufficialmente nelle più prestigiose location museali di tutto il Mondo. Giorgio Barberis Gli Artisti MIKIDADI BUSH si esplicita nel sincretizzare il patrimonio di una koinè puramente africana con un linguaggio post-moderno a cui attribuisce valenze di carattere esotistico. L'artista, come afferma Sarenco, diventa uno sciamano, una sorta di guaritore, di capo spirituale che, in qualche modo, regola e predomina la vita della comunità che egli coagula in una mescolanza di umano e beluino. Le sue figure, spesso medusiache, con mani e piedi artigliati ed occhioni apotropaici, si bagnano in atmosfere surreali. Queste immagini trovano nel loro “lessico intimo”, autobiografico, l'espressione di collegamento della coscienza estetica con il simbolo: quelle che Freud definisce tracce mnestiche. L'artista senegalese SENI CAMARA riprende il concetto estetico della sua specifica cultura (latdior ngonelatir) di “bello-corretto-efficace”. Secondo la tradizione Sao (V secolo a.c.), usa essenzialmente l'argilla sabbiosa cotta “a fiamma viva” che crea sorprendenti effetti plastico-coloristici causati da diversi gradi di cottura. La sua produzione scultorea è caratterizzata da figure a “tutto tondo” inscrivibili idealmente in un cilindro che rimanda agli archetipi arcaici della plastica paliforme. La staticità delle figure, colte però in un movimento in potenza, grazie alla particolare inclinazione dei volti, delle mani ecc., e la voluta sproporzione delle parti anatomiche, sono immagini di famigliari ed antenati, visti come forza vitale del clan di discendenza oltrechè anello di congiunzione tra vivi, morti e mondo degli dei. L'arte per GEORGE LILANGA è un gioco che ha portato a sperimentare forme espressive ed a muoversi liberamente tra culture storiche e culture attuali. Interpreta la cultura africana abbattendo i confini tra quella elitaria e quella popolare. Non disdegna di recuperare il mondo dei fumetti per far vivere il suo coloratissimo universo di personaggi e case, usa la tecnica del super-flat e crea, in parallelo, sculture di una certa altezza che richiamano l'arte pop. Originale cosmologia che tende ad antropoformizzare l'universo ed anamorfizzare l'uomo per porci al centro delle sue emozioni. Alcuni studiosi hanno analizzato i lavori di ESTER MAHLANGU facendo riferimento al design africano, altri ne hanno analizzato gli aspetti antropologici. A mio avviso, invece, le sue opere riconducono al decorativismo clanico-tribale dei “ndebele” che si stabilirono in tempi remoti nell'antico Transvaal e che cercarono di conservare la propria identità culturale attraverso l'attività artigianale di decorazione delle case e delle guarnizioni di perline, ricorrendo in entrambi i casi a marcati disegni geometrici che racchiudevano orme stilizzate di flora, fauna e delle stesse case di abitazione. Nelle sue creazioni si viene coinvolti empaticamente dalle forme geometriche zigzagate, dalle linee di orientamento della composizione grafica, dal complementarismo dei colori, dalle bande bianche e nere che dirigono i pesi ottici del campo nel centro della composizione, dove l'artista sincretizza ed esprime i concetti delle proprie radici (case, lamette ecc.) attraverso sapienti e stilizzate geometrie. Nel vocabolario simbolico di KIVUTHI MBUNO ricorrono di continuo “lemmi” africani: scimmie, giraffe, zebre, gnu, leoni, pastori, capanne di paglia, circondati da una natura edemica ed incontaminata dove tutto è ludus e “ joi de vivre”, disposti su polignotee quinte di terreno. Una moderna dottrina ispirata all'età dell'oro ed alla nobile semplicità. L'artista, attraverso una forma arcaica e colori irreali, sembra voler nobilitare l'umile e renderlo sublime. PETER M. WANJAU, infine, è l'artista simbolo di una nuova sensibilità in grado di comunicare, con grande decisione ed immaginazione, messaggi legati alla sessualità, all' Aids, ai problemi socio-economici, religiosi, di costume e culturali, con un linguaggio semplice e stringato, ben lontano dagli stereotipi occidentali di bene e di male.
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