AFRICA. Somalia. Pirati o benefattori?
di Joshua Massarenti, Vita 3 febbraio 2012
«Senza di noi le popolazioni non vivrebbero» “Il sequestro delle navi ci consente di rifornirci di derrate alimentari. Compriamo delle capre per distribuire della carne e del khat (erba narcotica diffusa in Africa orientale, ndr). Insomma, introduciamo denaro nell’economia del paese. Senza di noi, come pensa che le popolazioni locali possano sopravvivere? Tutti i pesci delle nostre acque sono stati portati via”. Abdulah Abdi fa parte di un piccolo esercito di circa 1500 pirati che negli ultimi anni stanno seminando il panico nell’oceano indiano, al largo del Golfo di Aden, un’area strategica per il commercio marittimo internazionale. La lotta internazionale contro la pirateria in Somalia Secondo l’International Maritime Bureau (IMB), su 459 attacchi lanciati contro navi mercantili nel 2011, 275 hanno avuto luogo lungo le coste della Somalia e nel Golfo di Guinea. E la pressione dei pirati non sembra allentarsi, anzi in Somalia è in crescita rispetto al 2010, ma con una percentuale di successo degli attacchi effettuati in calo. Tra il 1 e il 19 gennaio 2012, sette attacchi su 19 sono stati registrati in Somalia, dove nove sono ancora sotto sequestro con 151 ostaggi nelle mani dei pirati somali. Per contrastare il fenomeno, l’Ue, la Nato e gli Stati Uniti spendono due miliardi di dollari all’anno in tre operazioni navali militari: Atalanta, Ocean Shield e Task Force 151. Se sui media occidentali i pirati e contrabbandieri africani sono dipinti come banditi e terroristi pericolosi che vanno arrestati per il bene dell’Africa e del commercio mondiale di materie prime che transitano nel Golfo di Aden e nel Golfo di Guinea, un’inchiesta effettuata dal giornale beninense La Nouvelle Gazette pubblicata in esclusiva sull’ultimo numero del Courrier International, mette in luce lo sguardo radicalmente diverso di una parte delle popolazioni locali africane che la Nato giudica vittime della pirateria. Il reportage, sostenuto dal Forum dei giornalisti investigativi africani (Fair), è stato realizzato da cinque reporter africani in Somalia, Nigeria e Benin. Un 'modello' di business sociale “Nel Puntland”, regione autonoma della Somalia nord-orientale, “l’economia dei pirati è così potente che lo Stato è sul punto di diventare uno Stato criminale. Ma gli abitanti di Eyl”, dove vive il pirata Abdulah Abdi, “apprezzano questi ‘criminali’, che considerano ormai degli eroi”. “Da quando sono i pirati a comandare, le nostre condizioni sono migliorate” sostiene Zeyna Abdi, una nonna di 58 anni. “I loro soldi mi permettono di dare da mangiare i miei nipoti”. Per lei, “recarsi ogni mattina al porto di Eyl per informarsi sulle nuove navi sequestrate nelle acque dell’Africa orientale è diventato una routine”. C’è chi addirittura come Anab Farah ha trovato un nuovo lavoro: venditrice di pasti destinati agli ostaggi dei pirati. “Bastano qualche giorno per guadagnare 400 dollari (circa 310 euro) con i quali vorrei acquistare una macchina”. Non a caso, l’inchiesta (che puoi scaricare nel pdf qui affianco) si intitola: “Pirati, trafficanti e magnati corrotti. I banditi sociali dell’africa”. Pirati quindi, ma benefattori. Nonostante gli atti di violenza e la loro tendenza a sposare le ragazze più belle della regione, “una buona parte delle popolazioni locali li sono riconoscenti perché rivitalizzano l’economia della regione” scrive La Nouvelle Gazette. Inoltre garantiscono la sicurezza in una zona di non-diritto. E i loro profitti sono colossali. Secondo un rapporto del Gruppo di controllo delle Nazioni Unite sulla Somalia, “esistono almeno sette gang che attraverso la pirateria intascano circa 38 milioni di euro”. Tanto per farsi un’idea della potenza di fuoco di questi pirati, i giornalisti investigativi africani ricordano che “il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno speso 3,5 milioni di euro nel 2009 per creare impieghi o aiutare l’agricoltura e l’allevamento, mentre nello stesso anno il budget complessivo del governo del Puntland si aggirava sui 13,5 milioni di euro. Non c’è quindi dubbio che i pirati sono la forza economica la più potente della regione, al punto che il governo ha iniziato a trarre beneficio dai profitti dei pirati”. Sempre secondo il rapporto Onu, “più del 30% dei versamenti sono stati prelevati dai funzionari del governo del Puntland”. Oloyé, contrabbandiere e benefattore del Golfo di Guinea Nel Golfo di Guinea, Joseph Midodjho, alias Oloyé, è diventato una delle figure più popolari del Benin. “Questo autodidatta è il presidente dell’Associazione degli imprenditori di carburante del Benin, nonché proprietario e benefattore nella zona lagunare di Porto-Novo”. Oloyé è soprattutto a capo di un traffico gigantesco di carburante non raffinato che dalla Nigeria viene importato in Benin.Insomma, un trafficante della peggio specie, ma dotato di una sensibilità sociale apprezzata da molti beninensi. “Il contrabbandiere possiede un’impresa di micro finanza, la Mutua di credito per il cambiamento, che concede crediti alle donne per consentirle di vendere pane. Ad oggi, 1.300 donne hanno beneficiato dei crediti di Oloyé”, il quale non esita finanziare aule scolastiche e tornei sportivi nella sua città natale. “Si stima che il magnate impiega 600 persone direttamente e altre migliaia indirettamente”. E i soldi non mancano visto che il settore informale, che dipende in larga misura del traffico illegale di carburante, rappresenta il 70-80% dell’economia nazionale del Benin.