Il delicato equilibrio tra Cristianesimo e Islam a partire dal caso dell’Etiopia
Emanuele Fantini, Università degli Studi di Torino, Ispi on Line
L’ultimo censimento nazionale condotto in Etiopia (2007) ha contato, su una popolazione totale di circa 80 milioni di persone, il 43% di cristiani ortodossi, il 33,9% di musulmani e il 18,6% di prote- stanti: questi ultimi in virtù dell’esplosione del movimento pentecostale hanno raddoppiato il loro numero rispetto al censimento precedente (1994), affermandosi come la religione che cresce più rapidamente nel paese. La pubblicazione di queste cifre non ha mancato di suscitare polemiche, soprattutto da parte di alcune componenti della comunità musulmana, che denunciano una siste- matica sottostima della popolazione delle regioni a maggioranza islamica (Somali e Afar), per legit- timare la tradizionale immagine dell’Etiopia come stato cristiano e per truccare la ripartizione delle risorse nazionali tra i differenti stati regionali che compongono la Repubblica federale etiope. L’avanzata dei “Pente” (come vengono popolarmente identificati in Etiopia i fedeli delle chiese evangeliche, pentecostali e indipendenti) suggerisce diverse riflessioni e invita ad alcune cautele nell’analisi delle religioni nello spazio pubblico africano. Dopo un decennio di analisi in merito al contributo degli attori religiosi ai tentativi ed esperimenti di democratizzazione in Africa1, il democratic roll back che colpisce oggi il continente2 ha suggerito diverse analisi del fenomeno religioso come spazio di resistenza, opposizione e formazione di identità civili alternative ai regimi politici in carica3. L’ambivalenza della relazione tra la fede Pente e l’identità etnica – che nel contesto del federalismo etnico etiope è istituzionalizzata come princi- pale criterio di partecipazione politica – invita ad articolare e sfumare questa lettura. La fede Pente in alcuni casi rafforza l’appartenenza etnica a élite locali e nazionali al potere (in particolare quelle formate nelle scuole dei missionari evangelici nel sud-ovest del paese). In altri casi, come nella regione Oromia, può legittimare pratiche di “adesione negoziata” alla classe dirigente nazionale, generalmente identificata con le élite amahara e tigrine, associate alla Chiesa ortodossa, ma an- che rafforzare identità e pratiche di opposizione, addirittura armata, nei confronti del governo, co- me nel caso dell’Oromo Liberation Front, che ha la sua roccaforte nella zona del Wollega, tra le prime a essere evangelizzata dai missionari protestanti. Infine, il messaggio di forte individualizza- zione e di rottura radicale con la tradizione, offre alle nuove generazioni dei centri urbani, che fati- cano a collocarsi nelle caselle del federalismo etnico, la possibilità di una rinascita (born again) come membri di una nuova nazione, con una critica implicita all’attuale regime politico. 1 P. GIFFORD (ed.), The Christian Churches and the democratization of Africa, E.J. Brill, Leiden, New York, London, Koln, 1995; F. CONSTANTIN - C. COULON (eds.), Religion et transition démocratique en Afrique, Khartala, Paris, 1999. 2 L. DIAMOND, The Democratic Rollback The Resurgence of the Predatory State, in «Foreign Affairs», March/April 2008. 3 G. ANDRE – M. HILGERS, Entre contestation et légitimation. Le religieux en contextes semi-autoritaires en Afrique, in «Civilisations», vol. 58, n. 2, 2009; J. ABBINK, Religion in public spaces: emerging Muslim-Christian polemics in Ethi- opia, in «African Affairs», vol. 110, n. 439, 2011, pp. 253-274. Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. (*) Emanuele Fantini, Università degli studi di Torino. 2 ISPI - Commentary Inoltre, la critica alla Chiesa ortodossa etiope, – tra le poche e più antiche chiese cristiane autoctone in Africa – di cui sono portatori i Pente, evidenzia come i processi di pluralizzazione religiosa4 legati all’affermarsi di movimenti integralisti creano tensioni innanzitutto all’interno dei rispettivi campi confessionali: la frammentazione dell’offerta religiosa, la diversificazione di riti, pratiche e linguaggi, si traducono in fenomeni di concorrenza, conflitto ma anche sincretismo tra differenti approcci all’Islam o alla cristianità. Infine la dimensione e le reti transnazionali di un movimento come quello pentecostale, suggeriscono la necessità di interpretare l’importazione delle grandi questioni globali – l’Etiopia come bastione della cristianità contro l’espansione dell’Islam in Africa, la guerra glo- bale al terrorismo di matrice islamica, ma anche la lotta alla corruzio- ne politica ed economica – alla luce della loro declinazione – e stru- mentalizzazione – in relazione alle dinamiche sociali, politiche ed economiche nazionali. Senza tuttavia scordarsi di restituire ai Pente ciò che è dei Pente – e più in generale di ogni fenomeno religioso: la plasticità e la complessità di un approccio alla salvezza dell’anima irriducibile alle mere logiche economiche, sociali e politiche di questo mondo.