Gli alberi da frutto raccontano la storia del paesaggio d’Europa
di Vittorio Emiliani, Unità.com, 26 settembre 2013
Rileggere la storia plurimillenaria del «giardino d’Europa» attraverso i suoi alberi da frutto che da tempi remoti danno una fisionomia ai nostri paesaggi agrari. È uno dei significati di questo Giardino dei Patriarchi dell’Unità d’Italia che si inaugura domattina in uno dei luoghi più belli di Roma: il pendio che porta dall’Appia alla gigantesca Villa dei Quintili. Fra l’Antiquarium, ricco di reperti rari, e l’edificio imponente della Villa stessa, è stato realizzato un giardino molto speciale nel quale il profilo del Belpaese è disegnato da una essenza arborea antica per ciascuna regione: venti in tutto collegate da siepi anch’esse autoctone. Progetto reso possibile dalla collaborazione fra Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Arpa Emilia-Romagna, Ministero dell’Ambiente, Ispra, Comitato per la Bellezza, col patrocinio della Regione Emilia-Romagna e l’adesione della stessa Presidenza della Repubblica. Ma chi ha lavorato sui Patriarchi consentendone la riproduzione per talea? Il merito va a Sergio Guidi fondatore dell’Associazione Patriarchi (che ha sede a Forlì) e agronomo dell’Arpa regionale, il quale, con altri collaboratori entusiasti, ha avuto l’idea di censire centinaia di alberi antichi della propria regione e di trapiantare le loro preziose talee in un vivaio nel Forlivese (in qualche caso sono sopravvissute alla morte per decrepitezza dei fratelli maggiori). Poi, con altri ricercatori sparsi per l’Italia, essi hanno arricchito l’elenco dei Patriarchi già presenti nel vivaio romagnolo. Oggi sono oltre diecimila: anzitutto olivi e viti, cioè i protagonisti del paesaggio agrario sin dal tempo degli Etruschi, dei Celti, dei Greci, dei Romani, ma anche noci, melograni, fichi, sorbi, e poi ciliegi, meli, peri e via elencando. I censimenti veri e propri, per ora, sono due: quello completato qualche anno fa sotto l’egida della Regione Emilia-Romagna dove ancora si riconoscono ancora le «centurie», le terre assegnate ai veterani delle guerre galliche, e l’altro realizzato un anno fa nella Provincia di Roma, voluto dallo stesso presidente Nicola Zingaretti (che ora si spera vorrà promuovere quello dell’intero Lazio approfittando delle opportunità offerte dalla legge n. 10 varata dal governo Monti). Pensate che, mentre la Spagna, grande produttore di olio d’oliva, possiede 5 o 6 varietà di olivo, in Italia se ne contano oltre 300. Un patrimonio genetico strepitoso. Dai solenni olivi millenari di San Remo (alto sul mare, punto di riferimento per gli antichi naviganti), di Venafro in Molise, noto ai Romani, e di Ferrandina in Basilicata, il più antico della regione, ai vitigni magnogreci o ai castagni di Centocavalli sull’Etna. Il genoma di queste piante che hanno resistito ai secoli e alle grandi mutazioni climatiche (dal caldo Medio Evo alle gelate del ‘700) è di per sé preziosissimo. Una «scoperta degli antenati» essenziale anche dal punto di vista alimentare e paesaggistico. L’ospitalità del singolare giardino alla Villa dei Quintili la si deve alla sensibilità della Soprintendenza speciale ai Beni archeologici di Roma, in particolare alla direttrice dell’Appia antica, Rita Paris. Il progetto è dell’arch. Massimo de Vico Fallani in collaborazione con l’arch. junior Nicola Macchia (ha diretto i lavori l’arch. Angela Veneziano). Si comincia, dall’alto, col pero Brusson (il più grande e longevo della Val d’Aosta). Si prosegue col melo Pum dal Bambin (uno dei più grandi del Piemonte), col già citato olivo di San Remo, col ciliegio di Besana in Brianza, un gigante, col melo di Fondo in Val di Non (il più vecchio forse d’Europa), con l’altro melo di Campone (150 anni, il più monumentale del Friuli), con l’olivo millenario di San Vigilio sul Garda, col cotogno antico di Faenza (fra i più vecchi del Belpaese), col grande corniolo di Montieri (Grosseto) , con l’olivo di Campofilone (fra più longevi delle Marche), col maestoso noce di Poggiodomo, Perugia, (oltre 5 metri di circonferenza), col fico Reginella di Bucchianico in Abruzzo, con l’olivo di Venafro, col melograno di Roma (San Giovanni in Laterano, fra i più vecchi d’Italia), con la vite di Taurasi in Campania (plurisecolare e di dimensioni enormi), col fico di Otranto (varietà autoctona, fra le più remote), con l’olivo maiatica di Ferrandina (anch’esso millenario), con le viti Mantonico di Bianco (risalente all’epoca magno-greca) in Calabria e Corinto Bianco in Sicilia (portata in Italia dai Greci oltre duemila anni fa), con l’ogliastro di Luras presso Tempi Pausania (addirittura 3800 anni, il più antico d’Europa, 13 metri di circonferenza). Da domani visita ai Quintili diviene più che mai necessaria.
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