Etiopia, il ritorno degli schiavi dell'Arabia Saudita Non avevano diritti. Ed erano sfruttati. Ma ora Riad se ne vuole sbarazzare. Per assicurare lavoro ai suoi cittadini. L'odissea degli immigrati africani espulsi dal Medio Oriente.
di Sonia Grieco, Lettera 43, 21 dicembre 2013
L’espulsione in massa di cittadini etiopi dall'Arabia Saudita sta mettendo a dura prova il governo di Addis Abeba, alle prese con il rientro, anche dopo anni, di quasi 140 mila suoi cittadini emigrati nella petromonarchia in cerca di lavoro. Sono arrivati nelle ultime settimane con voli umanitari - ne sono stati effettuati circa 20 al giorno - nei sei centri di transito allestiti dal governo nella capitale etiope per accogliere migliaia di persone (fino a 7 mila al giorno). Sono uomini, donne e bambini che in molti casi tornano a casa a mani vuote, dopo essere stati rastrellati dalle forze di sicurezza saudite in un'operazione di espulsione degli immigrati illegali che ha coinvolto cittadini di diverse nazionalità, soprattutto yemeniti, africani e asiatici. CAMPAGNA ANTI-IMMIGRATI. L’implacabile campagna contro gli immigrati irregolari in Arabia Saudita è stata inaugurata a novembre, allo scadere dei sette mesi di amnistia concessi ai lavoratori migranti irregolari, ed è stata particolarmente dura per la comunità etiope. L’atteggiamento delle autorità del regno si è inasprito in seguito agli scontri, il 9 novembre, tra gli immigrati e la polizia a Manfouah, quartiere meridionale della capitale abitato prevalentemente da somali, etiopi ed eritrei (il bilancio è stato di tre morti e 68 feriti tra i migranti). Ne è seguita una caccia all’immigrato casa per casa, arresti di irregolari e intere famiglie caricate sui pullman e trasferite nei centri di detenzione senza neanche la possibilità di portare con sé i propri averi. RIAD TUTELA I SUOI CITTADINI. Il giro di vite deciso dalla monarchia wahabita è il frutto di una nuova normativa varata dal ministero del Lavoro per far fronte all’aumentato tasso di disoccupazione (10%, all’incirca come in Yemen, Siria, Egitto e Tunisia) che tra i giovani, che sono il 60% della popolazione, supera il 30%. In sostanza è stato deciso di espellere i lavoratori stranieri irregolari, che accettano salari bassi, per dare lavoro ai sauditi, oltre a favorire i cittadini del regno nei concorsi pubblici e a imporre alle imprese locali di riservare il 10% delle assunzioni ai sauditi. SAUDIZZAZIONE DEL LAVORO. Politiche di 'saudizzazione' del mercato del lavoro che hanno anche lo scopo di mettere al riparo il trono di re Abdallah, appena sfiorato dai venti delle cosiddette Primavere arabe che hanno spazzato il Medio Oriente e il Nord Africa, da possibili sollevazioni popolari innescate dalla mancanza di lavoro. Infatti, già tre anni fa Riad aveva iniziato a ridurre la quota dei permessi di lavoro per gli stranieri, prima limitando l’ingresso dei filippini, dopo che Manila aveva lamentato violazioni dei diritti umani nei confronti dei suoi cittadini, e in seguito allargando il provvedimento agli etiopi. L'inutile viaggio della speranza con il rientro in patria (© Getty Images) Etiopi in attesa di essere rispediti ad Addis Abeba. In Etiopia il flusso degli arrivi sta diminuendo (circa 1.000 al giorno), ma sono attese almeno altre 35 mila persone da Riad, Gedda e Medina, cui bisogna fornire assistenza immediata: cure mediche, vestiti, cibo, acqua, farmaci, coperte, trasporti per rientrare nelle città e nei villaggi di origine. Molti di loro hanno storie terribili da raccontare: i loro viaggi sono spesso iniziati da villaggi rurali etiopi, attraverso il deserto di Afar fino in Gibuti, sulle sponde del Mar Rosso, oppure fino al Somaliland, regione della Somalia settentrionale. Centinaia di chilometri con acqua e cibo scarsi. Un viaggio della speranza in cui tanti perdono la vita. Per attraversare il golfo di Aden si devono pagare i trafficanti e sull’altra sponda, in Yemen, si rischia di cadere nelle mani di altri criminali che sottraggono i documenti ai migranti per poterli sfruttare come mano d’opera gratuita, mentre le donne sono talvolta costrette a prostituirsi. SOGNO INFRANTO ALL'ARRIVO. Dal poverissimo Yemen la strada verso l’Arabia Saudita è ancora disseminata di pericoli per i migranti che una volta arrivati a Riad continuano a essere sfruttati. Accettano i lavori più umili, quelli che i sauditi rifiutano, spesso sono maltrattati dai datori di lavoro e sono vittime di discriminazioni. Per migliaia di etiopi la speranza di un futuro migliore è naufragata nelle ultime settimane, con le deportazioni e le dure detenzioni nei centri sauditi. LA DISPERAZIONE DI CHI TORNA. I returnee hanno raccontato di essere stati picchiati, di essere stati rinchiusi per giorni o settimane in prigioni sovraffollate, senza assistenza medica né servizi adeguati. Molti hanno infezioni alle vie respiratorie, alcuni mostrano sintomi di depressione e ci sono casi di donne che hanno dichiarato di avere subito molestie sessuali, ha raccontato un'infermiera di un centro di transito di Addis Abeba al quotidiano britannico The Guardian. L'ALLARME LANCIATO DALL'OIM. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che sta assistendo i returnee ha lanciato un appello alla comunità internazionale: servono ancora 11,2 milioni di dollari (finora ne sono stati raccolti 1,9), nonostante le donazioni che pure sono arrivate dalle agenzie delle Nazioni unite, dall’Unione europea e dall’Indian business forum. «Molte di queste persone hanno bisogno di cure mediche. Tra loro ci sono donne incinte o agli ultimi mesi di gravidanza, disabili, anziani, minorenni soli», ha spiegato Josiah Ogina, capo della missione Oim in Etiopia. Per il ministro degli Esteri etiope, Dina Mufti, l’espulsione dall’Arabia Saudita «in fondo è stato un bene», una lezione per chiunque intenda emigrare illegalmente e senza avere idea di cosa troverà all’arrivo. L'Etiopia cresce dell'8,5%, ma la disoccupazione è al 20% (© Getty Images) In Arabia Saudita gli immigrati non possono avere un'attività, ma sono 'schiavi' del datore di lavori. Al di là della prima assistenza, è quello che li attende in futuro a preoccupare gli etiopi appena rimpatriati. Non è cosa semplice la re-integrazione di migliaia di persone, che in molti casi hanno perso tutto, nella società e nell’economia del Paese. Non c’è a riguardo un chiaro programma del governo, un po’ spiazzato dall’entità dei rientri. L’economia etiope ha uno dei tassi di crescita più elevati dell’Africa (8,5%), ma la maggioranza della popolazione vive con meno di due dollari al giorno ed è impiegata nell’agricoltura, mentre l’industria non è un settore sviluppato. La disoccupazione nelle città è al 20%, secondo l’Oim, e il rientro di decine di migliaia di migranti significa anche perdere una quota delle rimesse che sostengono tante famiglie e pure l’economia del Paese. Centinaia di etiopi ogni anno partono in cerca di lavoro, tanti diretti verso i Paesi del Medio Oriente. Secondo il ministero del Lavoro, nel 2012 200 mila donne hanno cercato lavoro all’estero. LA TUTELA DEI LOCALI. L’Arabia Saudita, invece, sta tentando in maniera repentina di cambiare il modello del suo mercato del lavoro, in cui gli impieghi statali sono appannaggio quasi esclusivo dei sauditi, mentre quelli privati vanno soprattutto agli stranieri che costano circa un terzo in meno. Un rapporto che Riad vuole riequilibrare, anche perché il settore pubblico non può assorbire tutta la domanda di lavoro dei sauditi. E per farlo ha scelto di usare il pugno di ferro con i migranti illegali, vittime di un sistema dei permessi di lavoro che di fatto ne favorisce lo sfruttamento. Secondo i dati diffusi dall’agenzia AFP, 1 milione dei circa 9 lavoratori stranieri ha approfittato dell’amnistia per lasciare il regno, mentre altri 4 milioni sono riusciti a trovare lo sponsor necessario per poter restare. NELLE MANI DELLO SPONSOR. La normativa sul lavoro stabilisce infatti che gli immigrati non possono essere titolari di un’attività e sono legati al loro sponsor (il datore di lavoro): cioè non possono neanche cambiare lavoro senza il permesso di quest'ultimo, altrimenti diventano irregolari. Molti pagano una specie di 'mazzetta' allo sponsor per potere lavorare o anche per aprire un’attività di cui ovviamente non possono risultare proprietari. GLI ABUSI SUI LAVORATORI. Le limitazioni alimentano il lavoro sommerso e gli abusi sui lavoratori stranieri, talvolta degenerati in vere e proprie violenze contro gli immigrati: sono stati diversi i casi di badanti e colf maltrattate e persino uccise dai datori di lavoro. Il sistema di sfruttamento e di violazione dei diritti umani riguarda però l’intero mercato mediorientale del lavoro: situazioni simili si riscontrano in Oman, Libano, Emirati Arabi, Bahrein, Qatar. Chi non ha un permesso di lavoro, inoltre, è costretto a condizioni disumane, spesso soltanto per potere ripagare i trafficanti che li privano dei documenti. Protestare è inutile: di solito le vittime degli sfruttatori vengono rimpatriate.
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