Dove è finita la Femme fatal? Ma lo siamo tutte.
di Paola Pastacaldi, 4 gennaio 2014
Ho appena letto un articolo intitolato Femme Fatal Africain, nel blog MsAfropolitan di Minna Salami, un blog che vuole descrivere l'Africa contemporanea e la sua diaspora, ma in chiave femminista. Minna è una scrittrice affermata ed è considerata una delle 40 opinion makers africane sotto i 40 anni, e anche uno dei cento opinionisti neri più influenti del mondo digitale e dei social network. Il suo articolo è notevole per spunti storici africani e per le osservazioni critiche sul mondo africano femminile e non. Mi sono ritrovata a chiedermi come e chi fossero oggi le nostre donne fatali, quelle occidentali. Ma prima mi sono chiesta che cosa poteva trasformare una donna in un soggetto fatale. Che senso e cosa significava essere fatali. La parola Femme è intraducibile, almeno in italiano, è difficile dare a parole l’emozione che la parola femme dà in chi la sente e la pronuncia. Femmina? Donna? Donna vamp? Non è sufficiente. Amore e odio, paura del buco nero. Anche guardando il vocabolario, anche se la traduzione combaciasse, quel che di seducente e speciale che è insito nella parola fatale abbinata all’essere femminile fa parte del senso profondo e imperdibile che è in ognuno di noi e che si riassume nella parola archetipo. Nel vocabolario francese fatale ha indiscutibilmente un significato legato al destino, ma anche alla fatalità della morte (ineluttabile) e, ahimè, per conseguenza che porta alla rovina, dagli effetti disastrosi, funesta. Chi meglio della donna può essere accusata di essere funesta? Una donna fatale è una donna che seduce gli uomini, ma soprattutto li perde, gli uomini. Così leggo nel dizionario Le Petit Robert. Nell’elenco delle donne fatali troviamo Calipso, Lilith, Circe, la Fata Morgana, Medea, Giuditta. Siamo nel mito. E tutto va bene. Materia per i sogni. Oggi non si parla più di donna fatale. Perché? Ci siamo equiparate agli uomini e in questa corsa alla parità (meno all’uguaglianza) abbiamo lasciato per strada quelle qualità che i più consideravano pericolose. Vestite con i calzoni, ammesse a parlare ovunque, capaci di fare quasi qualsiasi lavoro. Sempre pronte, agghindate sobrie, veloci, sempre disponibili e facchine senza sosta di ogni lavoro. Ma qualcosa della paura delle donne è rimasta attaccata alla società e ora con inesorabile freddezza quei brandelli di fatalità vengono scaricati e gettati di nuovo nel vortice del vivere. Le donne col velo, le donne picchiate, ferite, trucidate sono donne fatali. La paura della fatalità è certamente legata alla paura per la sessualità. E qui le religioni hanno avuto molto spazio bianco da riempire. Dare alla donna una immagine di oggetto sessuale, persino diabolico, qualcosa che sfugge alle definizioni, qualcosa che deve avere a che fare con la magia, le streghe, la perdizione, l’inferno, ancora oggi paura delle donne. Cristianesimo e anche l’Islam hanno forgiato al meglio tutte le paure, stipandole nel corpo della donna. E le donne ne hanno pagate le conseguenze. Uccise, ferite, picchiate. La donna, quando non sta al suo posto, è sempre fatale, pericolosa. Può portare alla perdizione. La donna che non è moglie o madre o sorella o anche amante può essere il luogo della perdizione, dello scompiglio. E’ come se in quell’utero si volessero scaricare tutte le paure dell’umanità e i pericoli che la libertà comporta. Ma io penso che oggi le donne sono più fatali che mai. Le donne che corrono con i lupi, le donne che lavorano, le donne che parlano e pensano in parlamento, le donne che decidono, che si separano, che piangono, che soffrono, le donne che si esprimono, sono tutti modelli di donne fatali. Perché? Ma perché la loro sessualità è dichiarata come un’arma, brandita come uno scettro. Non importa di che orientamento siano, non importa di che età, di che cultura, di che credo, sposate o nubili o divorziate, single o lesbiche, sono sempre e comunque fatali. La donna è femme fatale. Per antonomasia. E' sempre, anche se talvolta involontariamente, foriera di vita e di morte. E infine di resurrezione. La donna è il luogo del cambiamento e della possibile perdizione. Non a caso oggi si elogia all'inverosimile la bravura della donna; la donna è migliore, dicono tutti gli uomini, la donna è più profonda, la donna soffre e capisce di più. Anche queste belle frasette lasciano l'amaro in bocca. Ma perché dobbiamo essere migliori e più brave degli uomini? Ma perché dobbiamo reggere sempre il confronto? Perché, sempre, siamo giudicate fatalmente pericolose. Anche la bravura può essere fatale, no? Ma fatale per chi, domandiamocelo? Per loro, gli uomini che non le vogliono libere di scegliere e decidere. Loro, che la fatalità la temono, perché non ce l'hanno.
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